IL CASSARO

 

IL CASSARO

 

 

Le origini

Le origini dell’insediamento panormita sono da ricercarsi nelle peculiarità geografiche ed orografiche di questa punta dell’isola: la serie di rilievi (i monti oggi Pellegrino, Gallo, Cuccio, Castellaccio e Grifone) che marca altimetricamente il retroterra del golfo di Palermo delimitava una ampia valle, resa fertile da numerosi corsi d’acqua. La Conca fu sicuramente abitata in età preistorica e protostorica; quando i Fenici giunsero dal mare dopo la fondazione dell’odierna Cartagine, sia che provenissero da levante, da Solunto, valicando l’odierno Capo Zafferano, che da ponente, da Mozia, sorpassando la doppia propaggine dei monti Gallo e Pellegrino, si trovarono davanti a un paesaggio che oggi possiamo solo immaginare, meglio se con l’aiuto della luce tagliente dell’alba o della penombra del tramonto alle spalle delle montagne, quando giungiamo a Palermo dal mare.

Farmaci per il trattamento della disfunzione erettile dell’impotenza nella farmacia pillola-online.com online in Italia. Per via orale, PDE5-inibitori, Avanafil Sildenafil Tadalafil Vardenafi. Viagra, Levitra, Kamagra e Cialis – le tre medicine popolari trattamento dell’impotenza. Cialis da prendere al bisogno è disponibile in dosaggi da 10mg e 20mg.

La parte centrale della Conca, nell’asse monti-mare, presenta un deciso innalzamento di quota, dove è ormai assodato che sia stata la parte più antica dell’insediamento, la paleapoli: un pianoro roccioso, di forma pressappoco ellittica, fiancheggiato dalle depressioni dei corsi d’acqua che, scendendo rispettivamente dal Parco (nome storico di Altofonte) e da Baida, portavano acqua dolce all’abitato consentendo le coltivazioni. Immaginiamo anche di riportare il mar Tirreno a lambire quelle parti di città che oggi chiamiamo Via Roma, Piazza Casa Professa, Piazza Venezia, incontrando le foci dei fiumi, e formare quel grande porto oggi conosciuto col nome lessicalmente corretto ma dialettalmente e significativamente riduttivo di Cala.

La paleapoli occupava così uno spazio ben definito: l’acrocoro pianeggiante della odierna Piazza della Vittoria, delimitato a levante dal corso del Kemonia, a mezzogiorno dal costone su cui sorgerà Palazzo Reale, e a ponente dal pianoro occupato oggi dalle Caserme, dall’ex Ospedale San Giacomo, dal Seminario dei Chierici e dal Palazzo Arcivescovile.

La prima espansione, la neapoli, avvenne con il protendersi della città verso il mare, sempre sulla riparata altura centrale. E’ probabile che tra i due insediamenti vi fosse un diaframma murario (il cosiddetto muro della Galka), il cui andamento è ipotizzabile più o meno parallelo alla Via Matteo Bonello, estendosi dalla odierna Piazza San Giovanni Decollato alla salita dell’Ospedale dei Sacerdoti.

Lo schema viario era quello della spina centrale sulla sommità dello sperone da cui si dipartivano stretti vicoli ad essa perpendicolari: L’assetto planimetrico del Cassaro appare ancora oggi sufficientemente comprensibile, e rileva l’appartenenza ad una cultura urbana ispirata a schemi geometrici regolari: scandito da una successione di venule che lo attraversano da settentrione a meridione, è collegato, tra oriente e occidente, da tre principali arterie, una centrale e grosso modo assiale, la prestigiosa platea marmorea di antica intitolazione, e due altre che, mantenendosi parallele ad una cinta di mura, seguono di fatto l’andamento del ciglio di roccia.

E ancora queste venule sono intuibili (si susseguono circa ogni 50-52 metri, la larghezza non supera i tre), se non addirittura presenti: scendendo da Porta Nuova, a sinistra ve n’è traccia negli spazi interni della Legione Carabinieri, nel vicolo oggi occluso che separa l’ex Palazzo del Signor Don Antonino Agliata Barone di Solanto dal cinquecentesco Seminario dei Chierici, nella Via delle Scuole (già Via di Messer Gambino), in Via del Collegio Giusino, in Via di Montevergine, nei vicoli San Biagio, del Cancelliere, e ancora Ragusi e Marotta, nel cortile della Madonna della Lettera, nel vicolo Paternò prima della Chiesa di San Matteo. E ancora, sul lato destro, passato il grande piano della Villa Bonanno, intuiamo la prima di queste venule oggi occlusa, quindi la Via Pietro Novelli, i Vicoli Brugnò, Lombardo, dello Zingaro, un’altra occlusione che già traforava il cortile del Palazzo Papè Valdina, l’antica Via Protonotaro, la Salita San Salvatore, e ancora altre a scendere sino al Piano dei Bologni.

Il tessuto viario era completato dalle strade che costeggiavano le mura: a nord le Salite Sant’Antonio (da Piazzetta Marchese Arezzo) e Castellana, che proseguivano con la Via del Celso, quindi l’ormai tranciato in più punti Vicolo dei Pellegrini, che dopo la bassura della Guilla saliva ripidamente (sino al sito della chiesa di Santa Cristina la Vetere) per ridiscendere verso l’odierna Via Matteo Bonello e ancora risalire, con repentini cambi di pendenza, verso il quasi altopiano del quartiere militare, completando la cinta muraria (nei pressi della futura Chiesa della Maddalena) nel varco che diverrà nel XVI secolo la Porta Nuova. A sud la Via Biscottai, quindi la curva e la salita di Piazza Santa Chiara, la Via Giuseppe Alessi, Piazza Bellini, Via degli Schioppettieri, richiudendo il perimetro più o meno dove Corso Vittorio Emanuele incontra Via Roma, e cioè nel punto di partenza, lo slargo del Marchese Arezzo, luogo probabile dell’antica Porta dei Patitelli.

 

Dall’età romana a quella araba

Dopo la conquista romana (254 a.C.), la città mantenne inalterata la sua configurazione urbanistica. L’unico rinvenimento di resti di edifici di questo periodo è quello delle Case di Piazza Vittoria (durante i preparativi per i giochi d’artificio in onore del principe Umberto nel grande Chiano palazzo, nel 1868), con molta probabilità il foro della Città: si tratta delle tracce perimetrali di due case datate al II secolo a.C., i bellissimi pavimenti a mosaico con scene di caccia sono stati trasferiti al Museo Archeologico Regionale Antonino Salinas.

Panormo fu conquistata dai Vandali di Genserico (440), da Odoacre (476) e da Teodorico (493). Belisario se ne impadronì nel 536 e rimase sotto il dominio dell’Impero Romano d’Oriente sino alla conquista araba dell’831. La città antica assunse il nome di al-qasr (dando origine al toponimo ancora oggi in uso di Cassaro), espandendosi rapidamente in due nuovi quartieri: il primo a sud, oltre il fiume Kemonia, tra le odierne Piazze Ballarò e San Francesco d’Assisi, abitato da musulmani ed ebrei; il secondo a nord, oltre il Papireto, il Seralcadio, dove presero stanza gli Schiavoni, le truppe mercenarie.

Nel 937 fu costruita la cittadella fortificata detta al Halisah (l’eletta), sede dell’Emiro, ricadente pressappoco nell’attuale Kalsa. In seguito si ampliò il quartiere meridionale verso il corso dell’Oreto, nell’estensione dell’attuale Albergheria. Il Cassaro comunicava con i quartieri esterni (il borgo, rabad) con le porte aperte nella cinta muraria punico-romana.

Dopo Giafar II, l’estinzione della dinastia Kalbita (1040) e la guerra civile scoppiata tra i comandanti militari favorirono la conquista normanna; con l’assoggettarsi al Duca Roberto il Guiscardo dei capi musulmani (1072), si indica, quasi leggendariamente, il momento di trapasso tra la cultura araba e quella normanna.

 

Dal XIII al XV secolo

Alla fine del regno svevo (1266), la classe feudale siciliana diede le mosse alla guerra del Vespro (1282-1302) e appoggiò l’autonomismo di Federico III d’Aragona, re di una Sicilia staccata sia dal Napoletano che dall’Aragona. Federico III governerà a lungo, senza riuscire ad esercitare però un controllo sulle famiglie feudali, che esercitavano ormai un incontrastato e assoluto potere a Palermo.

Soprattutto ai Chiaramonte ed agli Sclafani si deve la ripresa dello sviluppo edilizio e urbanistico. Nel 1320 fu innalzato il Palazzo dei Chiaramonte, dotato di uno splendido giardino, isolato con mole perfettamente quadrata ai limiti della vecchia Halisah. Noto con il nome di Steri (dal latino hosterium), fu iniziato da Manfredi I, proseguito da Manfredi II, e decorato, entro il 1380, da Manfredi III. Il re Martino decapitò nel 1392 Andrea l’ultimo dei Chiaramonte, a capo dei baroni che gli si opponevano, e prese possesso dell’edificio; dal 1399 al 1468 vi si stabilirono siniscalchi e tribunali, quindi i viceré e dal 1601 il Tribunale dell’Inquisizione. Sino al dopoguerra è stato sede del Tribunale, e ora, dopo lunghi e liberatori lavori, preziosa sede del Rettorato dell’Ateneo.

L’altro grande palazzo della Palermo del XIV secolo è quello eretto da Matteo Sclafani nel 1330 di fronte, ma a debita distanza, al Palazzo Reale: più grande di quello dei Chiaramonte, s’inserì quasi squarciandola nella fitta rete viaria dell’alto Cassaro, nel quale l’impianto regolare antico s’era piegato alla intricata dialettica spaziale della città islamica. L’edificio originario era costituito, come lo Steri, da un quadrilatero con corte interna, ma le modifiche subite fin dal 1453 per la trasformazione in Ospedale Grande (era questa la sede del grande affresco del Trionfo della morte oggi a Palazzo Abatellis) e poi in caserma lo hanno pesantemente alterato; l’unico prospetto che mantiene parte delle forme originali è quello meridionale, con le bifore e gli archi intrecciati con inserti di pietra lavica.

Nel 1412 la Sicilia divenne provincia aragonese, e nel 1415 giunse il primo viceré, Juan de Penafiel.

Dalle descrizioni sincrone si rivela l’incremento della funzione mercantile delle vie-mercato, sussidiarie al Cassaro, che si popolarono di botteghe, logge, depositi di merci: la ruga dei Catalani (oggi via Materassai), la ruga dei Pisani (Via della Loggia e via Paternostro) uniscono i due poli commerciali rappresentati dalle piazze San Giacomo la Marina e Fieravecchia. E i toponimi della città cominciano a radicarsi proprio in dipendenza dalle arti e dai mestieri.

Nello spazio che fronteggiava il prospetto meridionale della Cattedrale, nell’alto Cassaro, fu sistemata una vasta piazza, il piano: il suo invaso regolare, la scenografia delle quinte animate da logge costituirono un ideale spazio di aggregazione sociale. Nel secolo successivo la realizzazione della Via dell’Incoronazione (così detta per la Cappella di Santa Maria dell’Incoronata, eretta da Ruggero quando deliberossi di lasciare il titolo di conte per assumere quello di re) e la costruzione del bellissimo portico catalano concludevano la riorganizzazione, secondo la nuova concezione rinascimentale dello spazio, della complessa struttura medievale di origine araba.

Il tocco del piano, così era detto il portico, fu costruito nel 1429 dal Magister marammae Antonio Gambara. Il recente restauro ha consentito di verificare che il manufatto era completamente dipinto ed il suo effetto scenico sul piano della Cattedrale, esposto a mezzogiorno, doveva risultare particolarmente affascinante. Il tutto legato dai girali dell’albero della vita, dodici composizioni geometriche principali, con quel che ne consegue per gli studiosi della numerologia sacra (Gerusalemme celeste, con dodici porte e dodici fondamenta, in cui l’albero della vita dava dodici frutti; dodici erano le tribù di Israele, ecc.).

Della Cattedrale qui ci interessa evidenziare la storia iniziale, da basilica cristiana di rito bizantino a moschea, quindi di nuovo chiesa sotto il Gran Conte Ruggero e del tutto riedificata dal 1185 per determinazione dell’Arcivescovo Gualtiero, familiare del re Guglielmo II. La fine del XVIII secolo portò con se anche la fine dell’edificio gualtieriano: il Regio Ingegnere della Corte dei Borboni, Ferdinando Fuga, costruì il transetto e il grande cappellone del coro, sostituì gli archi a sesto acuto portati da gruppi di colonne tetrastili con archi a tutto sesto su rigidi pilastri, la copertura passò dalle capriate alla volta a botte, e, all’esterno terrazze, cupolini, campanili e mastodontica cupola.

La città, nel frattempo, si era organicamente divisa in cinque zone: il Cassaro, l’Albergheria, la Kalsa, il Seralcadio, il quartiere di Porta Patitelli. La configurazione urbanistica non subì grandi variazioni, ma si ebbero consistenti interventi edilizi: la Piazza oggi detta Ballarò (1468), l’apertura della Strada di Porta Termini (Via Garibaldi) in concomitanza con la costruzione dei Palazzi Abatellis ed Ajutamicristo (1490), la formazione del rettifilo delle attuali vie Butera e Torremuzza, la via Vetriera (1496).

 

La ripresa del XVI secolo

Anche a Palermo si riscontra quel rallentamento urbanistico che Benevolo definisce come “limitate e saltuarie … trasformazioni urbane”, comprese fra la seconda metà del ‘400 e la prima metà del ‘500.

Nel secolo XVI le lotte che infiammano, per la pressione dei Turchi, i territori dell’Europa centrale ed orientale, produrranno continui scontri bellici che coinvolgeranno il Mediterraneo, la Sicilia assume il ruolo di antemurale e Palermo diviene una formidabile roccaforte, per l’ammodernamento delle sue difese, rimanendo così una città definita, per la proibizione di espandersi fuori le mura.

Il fervore edilizio cinque-seicentesco, il trasformarsi dell’intera città in un grande cantiere, sarà la caratteristica dei due secoli: si hanno documenti di lavori più veloci (ventidue mesi per erigere sul Cassaro del Collegio Massimo) ed altri durati invece anche sessant’anni (Santa Ninfa dei Crociferi); sia all’interno che all’esterno delle mura si avviarono importanti interventi urbanistici, tra cui:

  • 1508, nell’intricato tessuto viario sotto il corso del Kemonia venne inserito il significativo crocevia della Discesa dei Giudici e di Via Lattarini, distrutto dalla novecentesca Via Roma.
  • 1510, completamento della Piazza della Bocceria.
  • 1513, viene costruita la Chiesa di Santa Maria della Consolazione con il Convento dei Padri Agostiniani. Nella piazzetta antistante il convento sorgeva la fontana del Genio di Palermo, oggi alla Fieravecchia.
  • 1518, costruzione della Chiesa e Convento dei Padri Minimi di San Francesco di Paola, nel Piano di Sant’Oliva (dov’era una trecentesca chiesa dedicata alla Santa)
  • 1533, costruzione della Chiesa e Convento dei Padri Cappuccini fuori le mura, a fianco dello stradone per Monreale.
  • 1545-59, creazione della Piazza del Garraffello.
  • 1567-68, rettifica, allargamento e prolungamento del Cassaro, da Porta Nuova sino alla Chiesa di Porto Salvo, demolendo l’antica Torre di Baych e la Porta dei Patitelli, ed apertura del Piano dei Bologni. Nel 1567 fu costruito il Molo Nuovo, odierna Via Cristoforo Colombo, in prossimità della Tonnara di San Giorgio, accanto ad una fortificazione dei primi del ‘500.
  • 1576, fondazione della Chiesa e Monastero della Immacolata Concezione sulla nuova Via di Porta Carini.
  • 1577, sistemazione del piano a mare, oltre le mura, e creazione della strada Colonna
  • 1581, prolungamento del Cassaro sino al mare e apertura della Porta Felice.
  • 1583, costruzione della strada per Monreale, che collegava la città con le fertili zone agricole.
  • 1591, prosciugamento del Kemonia e del Papireto. Il primo fu deviato all’esterno della mura (odierno Corso Tuköry) e sull’alveo abbandonato fu impiantata la Via Castro; il secondo fu interrato, causando la scomparsa della vegetazione di papiri, e rendendo disponibili nuove aree edificabili lungo la Via di Porta Carini.

Il prolungamento del Cassaro collegò anche i due complessi ospedalieri della città, l’Ospedale Grande (nel Piano del Palazzo, nell’antica dimora della famiglia Sclafani) e quello di San Bartolomeo, accanto Porta Felice.

 

Il ripensamento della città

Nella seconda metà del ‘500 i Viceré spagnoli ricostruiscono Palermo e Napoli, empori e basi navali dell’impero mediterraneo.

A Palermo si realizza la sistemazione forse più ambiziosa di questo periodo, con una studiatissima applicazione della cultura prospettica. Fra il 1564 ed il 1570 il porto è ampliato verso nord-ovest, liberando il fronte a mare come affaccio monumentale della città sull’acqua, e l’antico asse longitudinale del Cassaro è prolungato fino al mare. Questo rettilineo lungo 1,8 chilometri, con un dislivello di ben 28 metri – unico varco in una città resa compatta dalla lottizzazione degli ultimi spazi liberi entro le mura, il Papireto e la Magione – è formalizzato nel 1582-83 con la costruzione delle due porte monumentali: quella verso il mare, formata da due ali staccate per lasciar vedere l’azzurro del mare, quella verso monte sormontata da una piramide per funzionare da ponte visivo col prolungamento verso Monreale, che muore ai piedi della collina dopo 4,3 chilometri. Così scrive Leonardo Benevolo, che definisce l’insieme Cassaro-Stradone di Monreale straordinario asse prospettico di oltre sei chilometri, unificato da un magistrale trattamento visivo e perfettamente inserito nell’organismo cittadino e territoriale, collega i grandi spazi interni su cui si affacciano i monumenti principali, e conduce perentoriamente dal mare al monte. Esso non ha paragone in Europa, e forse nasce dalla sollecitazione di restare, coi mezzi della cultura moderna, all’altezza di una eccezionale metropoli di altri tempi.

Ma più che dalle definizioni attuali sono le definizioni coeve che riteniamo importanti per capire il processo di trasformazione. Nel Palermo restaurato, manoscritto del primo ventennio del XVI secolo così scriveva Vincenzo di Giovanni: Questa strada Toleda è di larghezza di sei canne, e di lunghezza di mille, e tutta siliciata nel mezzo, e dalle bande ammattonata, ed appalazzata tutta egualmente, con finestre d’intaglio della medesima fattura ed altezza. Le case sono tutte a quattr’ordini … e tale è in effetto questa strada che non ne ha l’Italia un’altra simile.

L’aggiunta di Via Maqueda (pensata nel 1597), perpendicolare e mediana della lunghezza del Cassaro, banalizza un po’ questa invenzione: le due strade, di uguale larghezza, con l’intersezione riccamente decorata, realizzano una croce convenzionale sovrapposta non senza forzature alla trama simmetrica cittadina..

Il cantiere si avviò il 24 Luglio 1600: entro il 1602 furono abbattuti 128 edifici residenziali, 24 abitazioni, 22 botteghe, 7 magazzini, un forno. La costruzione dell’ottangolo (denominazione con cui si indicava la piazza già durante la realizzazione) inizia nel 1603, con disegno di Mariano Smiriglio, con i primi due cantoni, quindi (1608), su progetto di Giulio Lasso, si intraprende la costruzione dei cantoni occidentale ed orientale. L’unificazione stilistica dei paramenti murari avviene sotto la direzione di Gioanne d’Avanzato tra il 1619 ed il 1622; il completamento con le statue dei sovrani spagnoli, delle sante protettrici e delle stagioni (Filippo II, Ninfa e l’Estate ad ovest, nel Mandamento poi detto del Monte di Pietà, Carlo V, Cristina e la Primavera a sud, l’odierno Palazzo Reale, Filippo IV, Oliva e l’Autunno a nord, nel Mandamento Castellammare, Filippo III, Agata e l’Inverno ad est, nel Mandamento Tribunali) si ha nel 1663. La piazza monumentale si mostra tutta simultaneamente allo spettatore con effetto a sorpresa, scenograficamente ambigua per l’illusione ottica creata dalla perfetta somiglianza dei fronti … presto però si ritrova l’orientamento grazie alla cuspide piramidale di Porta Nuova.